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mercoledì 4 settembre 2013

Clintòn, Clinto e Bacò




Chi ormai, di una certa età, non ricorda il vino Clinto, detto anche Clinton, che si beveva  durante i pasti nelle campagne Polesane, o che si portava nelle scampagnate all’inizio della primavera per annaffiare un buon panino con il salame o meglio ancora con la soppressa, e che faceva tanto divertire i bimbi perché lasciava i “baffi” quando lo si dava loro ad assaggiare. Oppure bevuto fresco in estate con qualche buon biscotto fatto in casa dalle nostre nonne...o con una fetta di brazadèla!!
Oggi quest vini sono diventati una rarità; solamente qualche contadino delle campagne venete, o qualche vero appassionato coltiva ancora poche viti per uso familiare e per regalarne qualche preziosa bottiglia ad amici estranei alla famiglia.

Il vino Clinton, meglio conosciuto in Veneto come Grinton è un vino intenso, aspro, dal colore rosso molto intenso, quasi viola, che lascia una traccia densa nelle bottiglie e nei bicchieri. Alcuni viticoltori possedevano anche viti di Clinto bianco; è a bassa gradazione alcolica, ricco di tannino e di alcol metilico, sostanza che agisce negativamente sul sistema nervoso. Simile al clinto era il Bacò, un vino poco alcolico che veniva vinificato prima di tutti gli altri e lo si beveva tutto durante l’ estate perché non si manteneva per tanto tempo. Il vino Fragolino è ottenuto dalla vinificazione dell’uva Fragola (nota anche come Isabella) dal gusto di fragola e di lampone che i francesi definiscono “framboisier” (di lampone) e gli anglosassoni “foxi” (volpino).

LA STORIA 
Nel giro di pochi decenni, dalla fine dell’ottocento, i vigneti delle campagne venete vennero quasi distrutti da tre gravi infestazioni: prima da due funghi, lo oidio (1850) e la peronospora (1870 – 80) e poi da un insetto, la fillossera (1880 – 1900). Unica soluzione, per salvare i vigneti di allora, fu di importare, come porta innesti, dei vitigni americani (puri e ibridi) molto resistenti alla fillossera. La diffusione di questi vitigni ibridi, troppo spesso considerati la soluzione nazionale al problema di allora, portarono ad una sovrapproduzione di vini scadenti che potevano rappresentare un pericolo per la qualità del prodotto.
Per tali motivi, fu emanata la Legge 23 marzo 1931, n. 376 che vietava “la coltivazione dei vitigni ibridi” e il loro commercio. Il divieto riguardava in modo particolare le viti di clinto e di bacò; la legge non riguardava l’uva fragola. Pochi anni dopo la Legge 2 aprile 1936, n. 729 estendeva il divieto di coltivazione anche alla vite isabella (fragola), ammettendo però la sua coltivazione allo scopo di produzione di uva destinata al consumo diretto. Per consumo diretto si intendeva, naturalmente, sia il consumo come uva da tavola sia la sua vinificazione.
Le norme sopracitate non sono mai state applicate con molta rigidità, conseguentemente sia l’uva fragola che le viti di clinto e bacò hanno continuato ad essere coltivati e a produrre vini. A partire dal 1965 la situazione cambia nuovamente; infatti il legislatore con l’art. 22 del D.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162 proibiva la vinificazione di uve diverse dalla vitis vinifera. A seguito delle proteste dei coltivatori fu emanata un’altra legge (Legge 6 aprile 1966, n. 207) che correggeva in modo favorevole la precedente, per quanto riguardava l’uva fragola, nel senso che mentre la legge del 1936 ne consentiva l’uso diretto ora con l’ultima disposizione del 1966, tale
limitazione sparisce e viene autorizzata la coltivazione della vite labrusca (fragola) senza nessuna limitazione al fine di vinificarla e di venderla come uva da tavola.
Attualmente, essendo il “vino” un prodotto della vitis vinifera, il derivato della vinificazione dell’uva fragola viene chiamato solo “fragolino” o “bevanda a base di uva fragola”.
Con l’entrata in vigore delle normative europee, la situazione è stata ancora una volta cambiata. Dai Regolamenti n. 822 del 1987 e n. 1493 del 1999 si evince che le viti non vinifere quali sono il clinto, il bacò e la Isabella
(fragola), dovevano essere estirpate, tranne nei casi in cui la produzione era destinata esclusivamente al consumo familiare.
Come ricordato in precedenza ci sono ancora nostalgici produttori di vini in questione, soprattutto in Veneto e in particolare il paese di Villaverla (Vicenza) dedica al vino clinto una festa che si tiene a villa Ghellini, dove viene premiato annualmente il miglior Clinto. Tale festa rappresenta l’occasione per discutere, approfondire gli aspetti tecnici di questo vino e gli appassionati possono rivolgersi alle bancarelle di prodotti tipici – vino e distillati, formaggi, dolci e gelato – che sono ovviamente a base di clinto.

CONCLUSIONI:

- È consentito coltivarlo in tutto il territorio italiano "per il consumo familiare dei viticoltori". L`espressione sembra restrittiva rispetto a quella precedente che vietava solo la produzione a scopo di commercio, ma in realtà è praticamente coincidente: il consumo familiare non esclude ovviamente la possibilità di regalarlo ad estranei alla famiglia. 
- L`obbligo di estirpazione per i vigneti che superano l`estensione richiesta per destinare l`uva ad un uso familiare, 
- Il prodotto è ricercatissimo anchè perchè, con il divieto di produzione, sono rimasti in pochi a possederne le piante, e riducendo la produzione di grappa a poche centinaia di preziose bottiglie.

…qualora ne troviate qualche bottiglia, BEVETELO!!!!!!!.... 

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